Share
rotate background

Il “Common Ground” della Biennale di Architettura

00000

ARTICOLO RIVISTA “ATLANTIS
_culture and current affairs / rivista di attualità e cultura

Autori: Federica Del Piccolo, Paolo Michieletto_2012
atlantis_03_12-1

“L’architettura non è solo quello che sembra… ma anche quello che fa…”
David Chipperfield
La tredicesima edizione della Mostra Internazionale Di Architettura alla Biennale di Venezia nasce e si sviluppa secondo le linee guida che Sir David Chipperfield porta avanti nel campo della ricerca architettonica. (fig.01)
Finalmente dopo una serie di edizioni affidate a critici e storici, “con il tema di quest’anno, Common Ground, si ritorna a parlare di architettura” – spiega Paolo Baratta, presidente della Biennale – “per aiutare gli architetti ad uscire dalla crisi d’identità che stanno vivendo, e nello stesso tempo offrire al pubblico la possibilità di guardare dentro l’architettura, rendersela familiare e scoprire che da essa si può chiedere qualcosa, che il diverso è possibile, che non siamo condannati alla mediocrità. La società civile è fatta di individui e istruzioni. Non sempre gli uni o le altre sembrano capaci di individuare le esigenze di organizzazione dello spazio in cui viviamo. Per sanare tale frattura la Biennale può dare il suo contributo innanzitutto ponendo questi come suoi tempi. Senza negare che esiste il problema del rapporto fra architettura e ecologia, architettura e tecnologia, architettura e urbanistica, il nodo centrale è rimediare allo scollamento tra architettura e società civile”.
Negli ultimi 15-20 anni si registra una spropositata produzione di opere di architettura come musei, stazioni, aeroporti, che sembrerebbero dimostrare l’eccellente stato di salute dell’architettura contemporanea, mentre il restante 99,9% del costruito risulta inqualificabile. Questo perché gli architetti moderni hanno ritenuto l’originalità individuale il valore primario del loro lavoro.
David Chipperfield chiarisce di aver scelto questo tema per “stimolare i colleghi a reagire alle prevalenti tendenze professionali culturali del nostro tempo che tanto risalto danno alle azioni individuali e isolate. Ho voluto incoraggiarli a dimostrare, invece, l’importanza dell’influenza e della continuità dell’impegno culturale, a illustrare idee comuni e condivise le quali costituiscono la base di una cultura architettonica”.
Egli ha invitato i colleghi ad esaminare ciò che li accomuna piuttosto che quel che li distingue gli uni dagli altri, e così facendo a dimostrare che la qualità dell’architettura dipende da valori e sforzi comuni.
Non bisogna dimenticare che nel progettare il futuro si costruisce sempre su ciò che è venuto prima. Questo avviene in particolare per il territorio e la città, da considerare come vero e proprio palinsesto, inteso come stratificazione e memoria del luogo. Una pergamena che viene cancellata e riscritta lasciando però tracce delle esperienze precedenti.
La sfida più ardua delle nuove generazioni sarà dimenticare l’autocelebrazione e riconoscere il valore dei segni della memoria, di quel Genius Loci , lo spirito, l’identità propria di ogni luogo. Non solo memoria fisica di oggetti architettonici , ma anche memoria di reali emozioni vissute.
La sfida è stata colta da 119 tra architetti, fotografi, artisti, critici e studiosi, con la presentazione di 68 progetti: la Mostra si sviluppa attraverso sale espositive lungo un unico percorso che dal Padiglione Centrale dei Giardini arriva alle Corderie dell’Arsenale. (fig.02) (fig.02bis)
Le archistar, da Zaha Hadid a Herzog e De Meuron, da Norman Foster a Rem Koolhaas sono protagoniste ma non celebrano mai le loro singole opere: si offre al pubblico (non solo agli addetti ai lavori) la possibilità di rendere l’architettura più comprensibile e familiare.
(fig.03) (fig.04)
Il messaggio è chiaro: l’architettura deve riflettere le trasformazioni della società, con cui si deve necessariamente scendere a patti, come dimostra l’installazione di Norman Foster situata all’ingresso dell’ Arsenale. La scatola completamene buia è attraversata da centinaia di parole in movimento, i nomi di coloro che hanno influenzato il design dei nostri edifici e città. Sulle pareti le proiezioni di enormi immagini di luoghi d’oriente: nuove città in forte sviluppo insieme a favelas, il tranquillo interno di un museo contro forti immagini di rivoluzione e cambiamento sociale. (fig.14)
Il Common Ground è stato interpretato in molteplici modi: come riprogettare il paesaggio di territori abbandonati, per il team di urbanisti del padiglione francese: “nessun territorio è senza speranza”, ma si deve prima di tutto “riconoscere” il problema e “reagire” velocemente. (fig.05)
Come attenzione alla tradizione e all’ecosostenibilità, nel padiglione danese, che affronta i drammatici effetti dei cambiamenti climatici sulla Greenland , con il progetto di housing ecosostenibile che prende spunto dall’adattabilità e possibilità di riconversione del tradizionale igloo.
(fig.06)
Oppure come attenzione alla ricostruzione, per il team di giovani architetti giapponesi presentati da Toyo Ito, con la loro proposta di soluzioni di housing per tutte quelle persone che hanno perso la loro casa durante il terribile terremoto che ha colpito il Giappone nel 2011. (fig.07)
O persino come confronto tipologico, nei quattro progetti “filosofici” presentati nel padiglione Italia, che prendono come “common ground” Il Campo Marzio di Piranesi, una ricostruzione speculativa della Roma classica, del 1762. Hanno realizzato nuove sperimentazioni usandolo come base e dimostrando quanto inesauribili siano le opportunità di reinterpretazione e speculazione creativa. (fig.08) (fig.09)
Nel padiglione italiano, possiamo anche scoprire il rapporto tra l’architettura storica ed il suo possibile uso nel presente. I quattro lavori di Mario Piana, l’ “architetto invisibile”, sono esempi di come attraverso un’attenta analisi preliminare ed un progetto rispettoso, si possa conservare e ripristinare l’efficienza funzionale degli edifici storici.
Troviamo anche una stridente critica alle direttive urbane del XX e XXI secolo: “The Banality of Good”dei Crimson, storici olandesi. Le New Towns nel mondo di oggi, pur essendo formalmente moderne, incarnano idee sociali diametralmente opposte, sostituendo i concetti di equità, moralità e “bene”, con convenienza e individualismo.
Moderno ed onirico il padiglione russo, presenta le pareti rivestite di pannelli di metallo le cui perforazioni corrispondono a codici a matrice QR. Si può avere accesso a questa “esposizione codificata” con l’ausilio di palmari portatili che, scannerizzando ogni codice, ci mostrano le differenti fasi di lavoro di interessanti progetti urbanistici come “Skolkovo innovation center”. (fig.10) (fig.10bis)
L’ architettura quindi non avviene per caso, è una coincidenza di forze, aspettative e collaborazione, che non coinvolge solo i professionisti, ma si attua anche con la società, tra chi commissiona, regolamenta e soprattutto abita i nostri edifici e città. (fig.11) (fig.12)
E’ solo attraverso il dialogo e la volontà di comprendere le diverse questioni e responsabilità che queste forze possono essere incanalate verso un risultato significativo.
La buona architettura non dipende solo dal “genio” individuale ma da valori, sforzi e visioni necessariamente comuni. (fig.13)

Add Comment

Reply

You must be logged in to post a comment.